di Antonio Di Carlo
I suoi genitori chiedono chiarezza, vogliono capire perché la vita del loro figlio sia terminata tra le mura di un carcere. Stefano Cucchi era un ragazzo di 31 anni, fermato dai Carabinieri perché trovato in possesso di venti grammi di marijuana il 15 Ottobre scorso. Un primo certificato di morte attestava che questa fosse avvenuta per “presunta morte naturale”. La famiglia tuttavia non ha creduto a questa tesi, specie dopo aver visto il corpo del figlio a seguito dell’autopsia ed ha deciso di rendere pubbliche le foto del giovane. Pochi scatti, ma eloquenti, che mostrano un viso irriconoscibile: occhi gonfi, lacerazioni, contusioni. E ancora, fratture alla spina dorsale, al coccige, alla mandibola. Non è ancora ben delineata la dinamica dei fatti, quello che è certo è che la procura di Roma si è mossa per il reato di omicidio preterintenzionale a carico di ignoti. Ed è proprio questo “a carico di ignoti” a far indignare i genitori di Stefano, che attraverso il loro legale si chiedono come possano essere definiti tali coloro che lo hanno avuto in custodia e in cura. Intanto il ministro della Difesa La Russa si dice “certo del comportamento assolutamente corretto da parte dei Carabinieri in questa occasione”.
Una certezza che spaventa e riporta alla memoria episodi passati. Una convinzione di non colpevolezza che sembra nascere a priori verso la più grande delle forze armate italiane. Come se ormai sia naturale il pensiero per cui il giusto è da un lato, sempre lo stesso, e tutto il resto sia un crimine fuori da ogni dubbio, indegno di qualsiasi perplessità. Vero è che Stefano Cucchi portava con sé venti grammi di marijuana. Vero anche che Federico Aldrovandi aveva assunto droghe, vero che Gabriele Sandri si era reso partecipe di una rissa tra tifoserie, vero che Maurizio Tortorici non si era fermato all’alt della Polizia Stradale ed aveva così fatto nascere un inseguimento. Ma questo forse giustifica a priori questi interventi delle forze dell’ordine? Il fatto che una persona si renda colpevole di un crimine giustifica la morte della stessa? Giustifica i pestaggi e le percosse?
Personalmente non ho mai provato odio nei confronti delle forze dell’ordine né comincerò a provarne oggi dopo aver sofferto vedendo quel che resta del corpo martoriato di Stefano. Il mio modo di condannare chi negli stadi urla cori infami contro la Polizia o sporca mura con la scritta A.C.A.B. rimane lo stesso di sempre. Perché nessuno può permettersi la presunzione e la viltà di offendere un’istituzione che ci ha regalato Emanuele Basile, Vito Schifani, Emanuela Loi e ancora e ancora. Affermare che “tutti i poliziotti sono bastardi” è dare del bastardo anche a chi ha dato la vita combattendo per il nostro benessere. Il nostro dovere è indignarci verso la parte malata di qualsiasi istituzione, senza generalizzare mai, pretendere la verità e colpevolizzare i colpevoli senza buonismi. E ancora, indignarci quando un ministro si dice sicuro dell’assoluta correttezza di comportamento, ovvero ritiene fuori da ogni dubbio che la morte di un ragazzo sia imputabile esclusivamente al fato.
Alla fine l’ingiustizia di questa società non ha mai vergogna di mostrarsi. E con un sorriso beffardo ci regala l’immagine di mafiosi condannati all’ergastolo che in carcere sorseggiano champagne gustando una cena a base di pesce, mentre dei giovani ragazzi, ricchi di desideri, al primo -forse ingenuo forse banale- errore che commettono, macchiano la terra del loro sangue.
Non è forse ora di indignarsi concretamente verso chi, realmente, disegna questa vergognosa realtà?
Nessun commento:
Posta un commento